Per Luciano Ligabue le canzoni non sono poesie in musica. Sono canzoni, un'altra cosa. A maggior ragione, le poesie non sono canzoni senza musica. Sono - questo sí - un altro modo di raccontare storie ed emozioni.
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Oueste poesie segnano un esordio ma, in qualche modo, anche un ritorno al Ligabue delle origini, il Ligabue dei primi album e dei racconti di Fuori e dentro il borgo più che del romanzo "La neve se ne frega", il Ligabue che riscopre il gusto di raccontare persone e personaggi. C'è il padre morente, il figlio che cresce, ma anche la strana insegnante di educazione fisica, e l'antipatico Marzio, c'è "B", che "è tornato, è morto, ma si era sbagliato", c'è la bambina scappata di casa tanto tempo fa. Non solo storie. Una raccolta che alterna analogie e rimandi a improvvisi "intervalli". Poesie che non hanno una morale -ci mancherebbe - ma che non hanno paura ad affermare che nella vita occorre "accettare meraviglia" ed essere, sempre e comunque, come "un paio di farfalle dure a morire". Testi che riconoscono nei maestri della poesia americana del Novecento un punto di riferimento, dai quali Ligabue - come ogni allievo che si rispetti - si allontana subito. Perché la sua voce, anche nelle poesie, è inconfondibilmente e solo sua.