Molti anni prima che lo facessero gli sceneggiatori dei grandi serial americani, Roberto Bolaño aveva usato nel suo romanzo d'esordio quella che potremmo chiamare la tecnica delle «confessioni incrociate».
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In questo congegno narrativo - dove con una trama decisamente noir, che gira attorno al ritrovamento di un cadavere, si intersecano diverse storie d'amore - tre sono infatti le voci che si alternano: quella di un messicano in esilio, attratto dalla cupa e sfuggente Caridad, che vive da clandestina in un campeggio della Costa Brava e va in giro con un coltello nascosto sotto la maglietta; quella del gestore del campeggio, affascinato dalla bellissima Nuria, campionessa nazionale di pattinaggio; e quella di un funzionario socialista, un ciccione pateticamente innamorato della capricciosa pattinatrice, per la quale, stornando fondi pubblici, fa costruire una pista di ghiaccio dentro una grande villa fatiscente di proprietà del Comune. Seminando sapientemente indizi preziosi e tracce fuorvianti, Bolaño riesce a creare la rarefatta atmosfera di suspense di un thriller - anche se sa perfettamente che la legge non finisce sempre per trionfare, che non tutti gli assassini vengono arrestati e non tutti gli innamorati vivranno felici e contenti - e conduce la narrazione di questo «giallo notturno e cubista» con la consueta, ipnotica visionarietà.