"Il problema principale che sarà trattato in tutte le parti di questo libro è lo stesso di cui ho sofferto consciamente o inconsciamente tutta la vita: l'esistenza di Dio." Così Fëdor Dostoevskij presentava il romanzo "I fratelli Karamàzov", forse la sua opera più complessa, profonda e compiuta, pubblicato a puntate dal gennaio 1879 al novembre 1880.
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La vicenda, tra le più famose della letteratura moderna, ruota attorno all'omicidio dell'odioso Fëdor Pávlovic, il padre dei fratelli Karamàzov. In un clima cupo e feroce si consuma il parricidio più celebre della storia della letteratura, apparentemente provocato dall'atavica lotta per la donna, in realtà maturato nel più ampio contesto della contrapposizione tra padri e figli. Su questo sfondo da tragedia greca si muovono personaggi di straordinaria potenza espressiva: Dmítrij, passionale e istintivo, Ivàn, ateo e cerebrale, lo storpio Smerdjakòv e soprattutto l'angelico, purissimo Alësa. L'impianto narrativo, pur serrato, rimane essenzialmente un espediente per indagare nei più reconditi recessi della psiche. Al centro dell'opera c'è infatti sempre la riflessione sull'esistenza umana e sui suoi interrogativi più angoscianti, sull'amore e sulla libertà; un'urgenza etica e intellettuale che, pur nella perfezione del risultato artistico, si lascia alle spalle qualunque preoccupazione estetica. Perché, come ha scritto G.A. Borgese, i Karamàzov "vanno oltre il bello. Essi raggiungono la dignità del libro sacro".