''Se mi tornassi questa sera accanto'', memorabile incipit della poesia ''A mio padre'' di Alfonso Gatto, è il romanzo di Carmen Pellegrino sulla distanza, a volte abissale, che può esserci tra gli essere umani, specie se si sono amati.
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Giosuè Pindari è un uomo antico, legato alla terra, alla famiglia e a un ideale politico, ma la moglie, dopo anni in cui il male di vivere non le ha concesso che brevi tregue, è ormai preda di un irreversibile declino; il socialismo, in cui ha creduto con una tenacia e una dedizione tipicamente "appenniniche", è stato trascinato nel fango dalla corruzione; l'amatissima figlia Lulù se ne è andata e non dà più notizie di sé. Contro la degenerazione di corpo e mente si può fare poco, contro la fine di un'utopia si può fare ancor meno, mentre a una figlia che è viva e lontana - provata dalle inevitabili incomprensioni generazionali ma legata da una sensibilità ancestrale e profonda, una vera e propria educazione dell'anima - si può comunque scrivere. Si può tentare di compiere un passo lungo la via di una riconciliazione, che è prima di tutto una riconciliazione con se stessi. Così Giosuè Pindari scrive a Lulù, le scrive lettere che infila in bottiglie e poi le affida alla corrente del fiume. Il fiume è acqua che appartiene alla terra, il fiumeterra contiene entrambi gli elementi; è acqua che tutto conserva: passato, presente e quindi futuro. Arriveranno mai? Non è importante saperlo. In fondo, il fiumeterra con le sue piene improvvise sa come arrivare a destinazione... Sulle sponde di un altro fiume c'è Lulù, che ha conosciuto Andreone, l'uomo 'leggero' che aspetta, anche lui esattamente come Giosuè, insieme alla piena il ritorno di una donna che è andata via. È proprio l'incontro con quest'uomo bislacco - l'altro, così necessario al riconoscimento di sé - a rivelarsi benefico. Da quelle sponde del fiume lontano è come se Lulù rispondesse alle lettere paterne seguendo la corrente, e su un registro magico, dentro un'aura d'incantamento.