Un pamphlet "documentato" contro i luoghi comuni sulla cultura e sulla sua incidenza nell'economia. "Con la cultura non si mangia" ha detto Tremonti. "La cultura è un lusso che non possiamo permetterci nei momenti di crisi" ripetono in tanti, a destra e a sinistra, economisti e politici, industriali e perfino qualche intellettuale.
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E giù tagli su tagli, da Berlusconi a Prodi e a Monti. E invece, oltre al fatto di occupare in maniera diretta o indiretta il 15 per cento dei lavoratori europei e italiani, la cultura sarebbe l'unico fattore in grado di farci uscire dalla crisi, di sbloccare la stagnante società italiana, aprirla all'innovazione e ritrovare la via della crescita. È già stato così, ai tempi del New Deal, quando intellettuali e uomini di cultura vennero coinvolti in massa nel "grande disegno", ma ora, con le nuove tecnologie informatiche, è ancora più vero. Più investimenti in cultura, ma mirati meglio, senza sprechi o clientele, potrebbero far entrare finalmente a pieno titolo l'Italia nella "società della conoscenza", la nostra unica chance. Potrebbero creare un ambiente adatto all'innovazione, un ambiente in cui il bene principale è la "creatività" e dove scienza e arte, tecnologia e studi umanistici formano un unicum che produce valore economico e sociale.