Dal 1959 al 1979 Zhang Xinliang è stato prigioniero politico nella Cina comunista, condannato a lavorare nei campi. La sua colpa era di essere uno studente universitario, un intellettuale.
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Per ventidue anni è sopravvissuto in condizioni disumane: cibo scarsissimo (la zuppa fatta con l'erba raccolta nei prati era il menù abituale), un giaciglio largo trenta centimetri, un lavoro massacrante e soprattutto condizioni psicologiche estreme. L'autore deve in buona parte il fatto di essere sopravvissuto all'avere tenuto un diario che, naturalmente, veniva controllato ogni mese dai direttori del campo. Oggi Zhang torna su quelle annotazioni in apparenza anonime e laconiche per svelare gli abissi di orrore che sottintendevano.